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il Film

Le notti di Cabiria

Premio Oscar Miglior Film Straniero
(1957)

Regia Federico Fellini

Soggetto e sceneggiatura
Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli
da un’idea di Federico Fellini
Musica Nino Rota

Collaborazione ai dialoghi Pier Paolo Pasolini
Collaborazione artistica Brunello Rondi
Fotografia Aldo Tonti
Scenografie e costumi Piero Gherardi
Montaggio Leo Catozzo
Aiuto regia Moraldo Rossi,Dominiqu Delouche
Direttore di produzione Luigi De Laurentiis
Segretario di produzione Narciso Vicario

Produzione
Dino De Laurentiis / Les Films Marceau
Durata 110 minuti

Interpreti
Giulietta Masina Cabiria
François Périer Oscar D’Onofrio
Franca Marzi Wanda
Dorian Gray Jessy
Amedeo Nazzari Alberto Lazzari
Aldo Silvani il fachiro
Mario Passante lo zoppo
Pina Gualandri Matilda
Polidor il frate
Ennio Girolami il magnaccia
e con
Christian Tassou, Jean Molier, Riccardo Fellini,
Maria Luisa Rolando, Amedeo Girard, Loretta Capitoli,
Mimmo Poli, Giovanna Gattinoni.


Federico Fellini FEDERICO FELLINI Nota Biografica
Federico Fellini nasce a Rimini il 20 gennaio del 1920, dal padre Urbano e dalla madre Ida Barbiani, romana. Già in tenera età mostra di preferire ai giochi di movimento quelli di fantasia, trascorrendo lunghe ore in solitudine a inventare storie e personaggi per il teatrino dei burattini. Ma la sua inesauribile, precoce passione è il disegno, che esercita in tutte le forme, soprattutto nella caricatura, fin dai banchi di scuola, ritraendo compagni e insegnanti comicamente tratteggiati. Superata l’adolescenza, con l’amico pittore Demos Bonini appronta una piccola bottega di figure e il proprietario del Cinema Fulgor in Corso d’Augusto gli commissiona, in cambio dell’entrata gratuita, i ritratti caricaturati dei celebri divi dei film in programmazione da appendere nell’atrio come richiamo. Il sogno di Federico, studente estroso e poco metodico, è di diventare un grande disegnatore come Nino Za che d’estate, elegantissimo, compone a pagamento le sue apprezzatissime tavole per i richhi ospiti del Grand Hotel. Così, durante il liceo, invia disegni e vignette ai giornali in voga e appena conseguita la maturità classica, nel 1938, spicca il volo oltre le mura troppo ristrette del "Borgo". Ottiene i primi ingaggi a Firenze presso l’editoreNerbini che pubblica le storie a fumetti di Gordon Flash e i fascicoli del 420. E dopo pochi mesi approda a Roma, dove collabora a molti settimanali satirici e umoristici fra cui: "Il Travaso", "Settebello", "Rugantino", "Il Balilla", ma soprattutto "Marc’Aurelio", nella cui redazione conosce Steno (Stefano Vanzina) che favorisce il suo esordio nel cinema come gag-man di alcuni film interpretati da Macario (Lo vedi come sei ... Lo vedi come sei!?, Imputato alzatevi!, Il Pirata sono io! tutti diretti da Mario Mattoli). Contemporaneamente si afferma come autore umoristico per la radio e il teatro di rivista, scrivendo scenette, canoni e testi per l’avanspettacolo. Dal 1941 inizia un’intensissima attività si soggettista e sceneggiatore che lo porta a firmare, in pochi anni, una trentina di opere da Documento Z3 a Avanti c’è posto, da Apparizione, a L’ultima carrozzella, Quarta pagina, Chi l’ha visto, Campo de’ fiori, La città dolente, La fumeria d’oppio, Il passatore, L’amore, Il mulino del Po, Francesco giullare di Dio, Il brigante di Tacca del Lupo, Cameriera bella presenza offresi, Europa ’51, Persiane chiuse e Cinque poveri in automobile (in entrambi non accreditato), Fortunella. Fondamentale rimane il suo apporto al cinema neorealista attraverso titoli divenuti mitici come Roma città aperta, Paisà, Senza pietà, In nome della legge, La città si difende, che lo portano a stretto contatto con Pietro Germi e soprattutto Roberto Rossellini, l’autore più congeniale per l’intelligenza non schematica e il prodigioso talento di trasformare in cinema l’aria stessa intorno al set. Nel 1943 sposa l’attrice Giulietta Masina, conosciuta durante le sue frequentazioni all’Eiar (l’allora emittente radiofonica), e nel 1950 insieme a lei, Alberto Lattuada e Carla del Poggio forma una cooperativa con la quale realizza in co-regia il suo film d’esordio: Luci del varietà. L’apprendistato è finito; l’esperienza maturata accanto a Rossellini, la salda collaborazione sperimentata con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, lo avviano senza esitazioni verso la sua più autentica vocazione di autore cinematografico. A Luci del Varietà segue Lo Sceicco Bianco (1952) e quindi l’affermazione de I Vitelloni (1953) in cui esprime la capacità, rivelatasi poi inesausta, di creare tipi e coniare titoli destinati a entrare, anche all’estero, nell’uso corrente. Dopo l’episodio di Agenzia Matrimoniale per Amore in Città (1953), realizza con La Strada (1954),  Il Bidone (1955), Le Notti di Cabiria (1957) una trilogia ispirata a una sorta di realismo definito "creaturale", o piuttosto a un spressionismo poetico di cui La Dolce Vita (1959), esuberante affresco di una Roma dolce e decadente colta nel momento del primo boom economico, rappresenta allo stesso tempo il più maturo punto di arrivo e l’apertura  rottura. Le violente polemiche moralistiche seguite a La Dolce Vita gli ispirano l’illusionistico sberleffo de Le Tentazioni del Dottor Antonio (1961) episodio di Boccaccio 70, in cui sperimenta per la prima volta il colore; e nel 1963 il regista realizza Otto e Mezzo, considerato fra le opere più alte della storia del cinema per la novità del linguaggio, la struttura narrativa priva di una trama tradizionale, e l’irrompere dell’inconscio nell’esposizione della crisi creativa del protagonista, un regista dai connotati scopertamente privati. Nel successivo Giulietta degli Spiriti (1965) animato da una rutilante visionarietà, Fellini trasferisce in un personaggio femminile il ricamo delle proprie ossessioni con aperti riferimenti alla psicanalisi junghiana.  Inizia in questo periodo della sua vita il rapporto mai risolto con Il Viaggio di G. Mastorna, il leggendario film sull’oltretomba mai portato a conclusione e il cui travaglio si accompagna misteriosamente a una feroce malattia che lo conduce quasi alla morte.
Ripresosi senza conseguenze, nel 1968 attua una nuova svolta espressiva con Toby Dammit dal racconto di E. A. Poe, incluso in Tre passi nel delirio; e si accosta al racconto televisivo con Block Notes di un Regista in cui adotta la finta inchiesta giornalistica; un modello narrativo che riprenderà ancora per I Clowns (1970) struggente dichiarazione d’amore per il circo, e per altre opere nell’ultimo decennio.
Ma il grande affresco di questo periodo rimane l’inarrivabile trasposizione fantastica del romanzo latino di Petronio Arbitro, Fellini Satyricon (1969), scritto con Bernardino Zapponi, nuovo collaboratore alla sceneggiatura. Negli anni Settanta il cineasta torna ancora con Roma (1972) e Amarcord (1973) ai due poli della sua ispirazione: l’amata capitale del suo cinema e la Romagna dei suoi sogni e condizionamenti infantili e adolescenziali.  Nel successivo Il Casanova di Fellini (1976) il suo universo creativo si apre all’Europa del Secolodei Lumi in una poderosa metafora esistenziale in cui il gusto del racconto pittorico a struttura paratattica raggiunge vertici di impareggiabile arte cinematografica. Nel 1978, negli anni di piombo della storia politica nazionale, fa sentire la sua voce e il suo sgomento nel lucido, incalzante apologo di Prova d’Orchestra, prodotto dalla televisione pubblica; e nel 1980 con La Città delle Donne compone in una catena di magiche sequenze la più privata e indifesa delle confessioni sul misterioso e insondabile rapporto fra i sessi messo in crisi dalla presa di coscienza della donna.
Il suo onirismo profetico partorisce nel 1983 E la Nave Va, un’opera inquietante dalla preziosa veste formale; e nel 1985 Ginger e Fred, il più spericolato, tenero e coinvolgente rifiuto alla dittatura della televisione che omologa in un unico impasto nocivo, gusto e coscienze.
In contrasto, una plateale dichiarazione d’amore al cinema, risulta nel 1987 Intervista, film relativamente a basso costo che gli consente un alato racconto rapsodico, dal respiro leggero e malinconico, sospeso fra sogno, ricordo e magia. E tre anni dopo, nel 1990 appare sugli schermi La Voce della Luna, l’ultima opera, a cui il regista affida quello che possiamo considerare a posteriori il suo testamento spirituale, un profonda e complessa riflessione sulla vecchiaia e la morte, la cacofonia dei tempi, il mistero della vita e l’infinito amore per sue creature guardate attraverso il prisma deformante della follia. Nell’intera produzione di immagini del grande regista non vanno tuttavia dimenticati i fantasiosi spot pubblicitari, assolutamente inusuali per soggetto, elaborazione e durata, girati per Bitter Campari, 1984 (Oh, che bel paesaggio!), Rigatoni Barilla, 1986 (Alta Società), La Banca di Roma, 1992 (Che brutte notti!). Federico fellini è morto a Roma, in seguito a un ictus cerebrale, il 31 ottobre 1993, a mezzogiorno, a un solo giorno dalla ricorrenza del cinquantesimo anniversario di matrimonio, le Nozze d’Oro con Giulietta Masina e dopo due settimane esatte di agonia trascorse nel reparto di rianimazione del Policlinico Umberto I. La camera ardente, allestita nel Teatro 5 di Cinecittà è restata aperta per un giorno intero a un pubblico di oltre centomila visitatori. I funerali di Stao sono stati celebrati nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in Piazza della Repubblica, e le esequie hanno ricevuto un secondo tributo di folla incontenibile nella città natale. E’ sepolto nel cimitero di Rimini dove è stata allestita una stele funebre, un’alta prua di nave in risplendente ottone dorato, opera dello scultore Arnaldo Pomodoro. Riposa insieme alla moglie Giulietta e al figlio Federichino, deceduto dopo appena due settimane di vita.
Sui suoi film, da Lo sceicco bianco a La voce della luna, si è detto e scritto talmente tanto che sarebbe impossibile riportarne anche soltanto una minima parte in una nota biografica. Sono giudizi ormai scolpiti nella memoria di tutti. Federico Fellini è uno dei veri geni del secolo che si chiude e le sue opere, immortali, non necessitano di parole, ma vivono per le immagini straordinarie di cui sono composte e che fanno ormai parte dell’immaginario dell’umanità. I suoi film non sono solo cinema - che sarebbe forse diminuirli - ma pure opere d’arte.

Gianfranco Angelucci
Direttore della Fondazione Federico Fellini


TULLIO PINELLI
Drammaturgo e sceneggiatore cinematografico italiano, è nato a Torino nel 1908.Laureatosi in legge, esordì in teatro nel 1935 con l'elegante e ironica "La pulce d'oro" cui fece seguire, sullo stesso registro, l'atto unico "Lo stilista" (1937).
Ma le sue opere più rappresentative – "I padri etruschi" (1941), "Lotta con l'angelo" (1942) e "Gorgonio ovvero il Tirso" (1952) – sono caratterizzate da toni intensamente drammatici e da una tematica di carattere spiritualistico.
Scrisse anche libretti d'opera, soprattutto per Ghedini: "Re Hassan" (1939), "La pulce d'oro" (1940), "Le baccanti" (1948).
Dopo aver collaborato con Mario Soldati alla trascrizione cinematografica di "Le miserie del signor Travet" (1946), lavorò in coppia con Federico Fellini a testi per Lattuada, Rossellini e Germi. La collaborazione continuò quando
Fellini passò alla regia (con l'apporto anche di Ennio Flaiano) per tutti i suoi film da "Luci del varietà" (1951) a "Otto e mezzo" (1963), compreso, naturalmente, "Le notti di Cabiria". Negli anni Settanta  ha scritto vari sceneggiati per la televisione. Ha inoltre collaborato ai  film di Monicelli "Amici miei" (1975), "Viaggio con Anita" (1979) e "Amici miei atto II" (1982).

ENNIO FLAIANO
Scrittore e sceneggiatore italiano (Pescara 1910-Roma 1972). È autore dei testi di "Roma città libera" (1946; distribuito nel 1948 con il titolo "La notte porta consiglio") di M. Pagliero e, in collaborazione con Tullio Pinelli, dei testi dei film di Federico Fellini, da "Luci del varietà" (1951) a "Giulietta degli spiriti"(1965), compreso "Le notti di Cabiria". La sua prima e più importante opera narrativa, "Tempo d'uccidere" (1947), allegorica rappresentazione della vita vista come stato d'angoscia, ha rivelato una vena sarcastica e ironica, a metà tra l'assurdo e il grottesco, che Flaiano ha confermato nelle opere successive: "Diario notturno" (1956), "Una e una notte" (1959), "Le ombre bianche" (1972).Opere postume sono: "La solitudine del satiro" (1973), "Autobiografia del blu di Prussia" (1974), "Diario degli errori" (1976), "Lettere d'amore al cinema" (1978). Per il teatro ha scritto, sempre con intento polemico e satirico, "La guerra spiegata ai poveri" (1946), "La donna nell'armadio" (1958), "Un marziano a Roma" (1960). Nel 1988 sono usciti, nell'ambito della pubblicazione delle opere complete, gli "Scritti postumi" , in cui è raccolta gran parte delle sue annotazioni di costume e aforismi sapidi e poetici.

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