Storia

Audrey IIOn the 23rd Day of the Month of September in an early year of a decade not too long before our own,
the human race suddenly encountered a deadly threat to its very existence,
and this terrifying enemy surfaced as such enemies often do
in the seemingly most innocent and unlikely of places...


Questo è il prologo originale del musical La piccola bottega degli orrori che Howard Ashman ha scritto ispirandosi al film omonimo del 1960 diretto da Roger Corman e nel quale appariva un giovane Jack Nicholson. Lo spettacolo fu un grande successo off-Broadway (2209 repliche) prodotto da Cameron Mackintosh ed ha avuto ben 15 versioni in tutto il mondo. Nel musical si trovano moltissime parodie o meglio "citazioni": fantascienza, film di serie "b", thrilling, commedie musicali romantiche e forse anche altro.
Nel 1986 grande successo ha avuto anche il film di Frank Oz con Rick Moranis, Ellen Greene, Vincent Gardenia ( e con la partecipazione di Steve Martin, James Belushi, John Candy e Bill Murray), dove però il finale era diverso dall’originale, e quindi da quello che si è deciso di utilizzare anche per la versione italiana.
La piccola bottega degli orrori è la storia di un commesso in un negozio di fiori di un sobborgo di New York. Seymour - questo il suo nome - è appassionato di botanica e soprattutto di piante strane; e quella trovata un giorno per caso al mercato da un vecchio cinese è davvero molto molto strana… Lui la "battezza" Audrey 2, in onore della sua collega Audrey, di cui è segretamente innamorato, anche se la ragazza è legata al violento dentista Orin. La bizzarra piantina attira molti nuovi clienti al negozio di Mushnik , fino a pochi giorni prima sull’orlo del fallimento. Ma da piccola pianticella simpatica, Audrey 2, nutrendosi in modo decisamente…insolito, cresce a dismisura e diventa un personaggio in grado di cambiare radicalmente l’evolversi degli avvenimenti.
La trama un po’ truculenta è trattata nel musical in modo molto ironico ed accattivante, grazie anche alle musiche ed alle canzoni scritte dallo stesso Ashman con Alan Menken, ed eseguite, oltre che dai citati protagonisti, anche dal coro di tre ragazze – in stile Supremes – che sottolinea i vari momenti della vicenda. Vicenda che è anche, comunque, un’ironica quanto puntuale analisi della società americana, dove coloro che vivono nei quartieri più degradati delle grandi città sognano un evento che possa riscattarli e permettere loro di vivere una vita più dignitosa. 
La piccola bottega, senza alcuna cattiveria, prende un po’ in giro le grandi commedie musicali americane degli anni ’40 e ’50, quelle nelle quali la protagonista a un certo punto della vicenda descrive in una canzone struggente un suo sogno. Succede infatti anche ad Audrey, che però in questo caso ha un sogno davvero piccolo piccolo, semplice ed ingenuo: quello di una casetta anonima, con una bella cucina che abbia un frigorifero e un tostapane, dove vivere con il marito e i bambini.
La piccola bottega, ha detto lo stesso autore, può anche essere vista un po’ come storia d’amore e un po’ come la leggenda di Faust: una storia di destino e di tentazioni, di fine del mondo, di avidità, di dubbi e difficili scelte morali.
Nel 1988 Saverio Marconi e la Compagnia della Rancia iniziarono la loro "avventura" nel mondo del musical proprio con la versione italiana di "La piccola bottega degli orrori": fu un grande successo, testimoniato da un Biglietto d’Oro e da una tournée che durò tre anni. Oggi, dopo tante esperienze, la nuova versione è, nello stile della Compagnia, un grande spettacolo ricco di effetti e sorprese, dove si ride e si sorride, dove si batte il tempo a ritmo di rock, dove forse ci si commuove anche un po’, dove si vive un’irrefrenabile suspense comica e dove soprattutto ci si diverte con uno favola di gran classe e di intrattenimento intelligente.


La presentazione di Howard Ashman,
scritta prima che venisse realizzato il famoso
remake di Frank Oz

Howard AshmanAlle origini della “Piccola Bottega degli Orrori” c’è un film realizzato nel 1960 da Roger Corman, con uno dei budget più economici della storia del cinema: 30.000 dollari. Corman ha scritto la storia letteralmente dall’oggi al domani con Charles Griffith, e l’ha girata in tre giorni con una scenografia già esistente. E’ stata una sfida. Il mio spettacolo comincia come il film: la bottega, il fioraio, il commesso innamorato della ragazza, ma i personaggi sono un po’ diversi: per esempio nel film il dentista non era sadico, ma aveva un cliente masochista (Jack Nicholson), e la sua relazione con la ragazza è una mia invenzione; la pianta si nutriva di sangue umano, ma non era un pupazzo bensì una figurina di cartapesta; l’unica cosa che diceva era “Ho fame!”; non aveva la personalità della mia pianta. “La piccola bottega” era un cult-movie molto popolare negli Stati Uniti: io l’ho visto a 15 anni insieme a molti miei compagni; si correva dappertutto dicendo. “Ho fame!”. Era un gioco da ragazzi. Questo accadeva nel 1965. La storia ci è rimasta impressa soprattutto perché era un film dell’orrore pieno di humour ed era probabilmente il primo, mentre in quel periodo i film dell’orrore venivano presi sul serio, dovevano far paura, lasciare incubi e far vedere tanto sangue, non dovevano far ridere. “La piccola bottega” si rifà, senza cattiveria, ai momenti nostalgici presenti nelle grandi commedie musicali degli anni ’40 e ’50 nelle quali c’è sempre un momento in cui l’eroina si siede (generalmente nella terza scena) e canta i suoi sogni. Lei, prima che si chiuda il sipario, spiega al pubblico ciò a cui aspira e ciò che, in linea di massima, otterrà. In “My Fair Lady”, Eliza Dolittle canta “quando sposerò Mr. Neige”. In “Brigadoon”, Thiona canta “Aspettando il mio beniamino”. Ne “La piccola bottega degli orrori” Audrey si siede sul bidone delle immondizie e canta il suo sogni di arredare una casa. Il gioco consisteva dunque nell’utilizzare la forma tradizionale ironizzando sulla stessa, ma senza lasciarsene sfuggire i vantaggi. Ho provato a giocare con due elementi, quello satirico e quello emozionale, uscendo un po’ dai canoni, ma restando fedele alle mie vecchie ricette. La mia storia d’amore è anche un po’ leggenda di Faust, è una storia di destino e di tentazioni, di fine del mondo, di attrattiva di lucro, di scelte morali. Ricordo di aver detto ad Alan Menken che “La piccola bottega” sarebbe stato o un enorme successo, o un fiasco clamoroso, ma niente a metà.

Howard Ashman


La presentazione di Gerolamo Alchieri,
scritta per la prima versione italiana
del 1988

Locandina della prima edizione italianaIl primo problema che mi sono posto è stato, ovviamente, se lasciare questa storia a New York o se traferirla in qualche periferia nostrana, magari milanese. Con Saverio Marconi ci siamo resi conto però di quanto questa storia fosse improponibile al di fuori dell'atmosfera, dei suoni, dei colori e dei miti a cui si riferisce e su cui ironizza, che sono prettamente americani. E' vero che l'America non è più così lontana, grazie al cinema, ai prodotti commerciali e soprattutto (ahinoi!) ai tanti telefilms. Però "questa" America era quella dello slang newyorkese e dei miti commercial-televisivi degli anni cinquanta, con cui non abbiamo tanta confidenza. Si è trattato quindi di riproporre lo stesso spirito ma con elementi a noi noti. Ed ecco che il Solimex diventa il Tavor, il Vitalis è diventato il Bryll-Cream, Howdy-Doddy è stato trasformato in Perry Mason, e così via. Lo scoglio più grosso erano le canzoni. Se è vero che il Musical americano è figlio indiretto dell'Opera Lirica Italiana, è anche vero che il dittongo italiano, così utile per i vocalizzi del bel canto, mal si presta al rock, il cui ritmo viene meglio scandito dalle consonanti, di cui l'idioma anglosassone è ricco. Per di più l'inglese è una lingua fondamentalmente monosillabica, e questo significa che è facile, in pochi versi, esprimere concetti che in italiano avrebbero bisogno di un'intera canzone. Certo, anche noi abbiamo le nostre parole monosillabiche, ma sono per lo più articoli, congiunzioni e preposizioni, e il pensiero così risulterebbe quantomeno impoverito... Non sarebbe stato difficile, perciò, ritrovarsi una canzone i cui versi finiva tutti in "erre" (andar, amor, mangiar,cuor, ecc.) cosa che con Michele Renzullo abbiamo cercato di evitare (con, ad esempio, l'uso dei futuri: andrò, vedrò, ecc.) se non quando era divertente evocare certe canzonette italiane degli anni cinquanta (come la canzone del sogno di Audrey "In mezzo ai fior"). In definitiva un gioco complicato ma che ci ha divertito e che, speriamo, diverta anche il pubblico.

Gerolamo Alchieri

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