Può essere considerato in qualche modo il primo "musical" italiano che si è discostato dalle caratteristiche della commedia musicale alla Garinei & Giovannini. Si tratta di "Caino e Abele", che Tony Cucchiara portò con grande successo sulle scene italiane nel 1972 con un cast composto in gran parte da cantanti di musica leggera noti in quel periodo: lo stesso Cucchiara, sua moglie Nelly Fieramonti, Christian, Sergio Leonardi, Giuliana Valci, Ronny Grant, Marisa Sannia. L’orchestra era diretta da Gianni Mazza, le coreografie firmate da Renato Greco e la regia di Enzo Trapani. Lo show ha avuto numerosi revival nel corso degli anni e ora torna nuovamente n scena a Roma, al Teatro Cassia, dal 16 dicembre al 6 gennaio, in un nuovo allestimento con la regia dello stesso Tony Cucchiara e l’interpretazione di Annalisa Cucchiara, Luca Notari, Silvia Specchio e Rhuna Barduagni. Scene e costumi di Giuseppe Andolfo, coreografie di Renato Greco.
La presentazione dello spettacolo scritta da Diego Fabbri
Per la prima volta, che io sappia, almeno in Italia, un oratore di musiche folk trova la vastità di respiro e l’unità di ispirazione da comporre e da proporre, con autenticità di consenso una vera e propria opera musicale.
L’amore e l’odio, Abele e Caino, la creazione e la distruzione e la morte in continuo alternarsi e spesso sovrapporsi hanno intessuto drammaticamente la storia dell’uomo: dalle primissime origini ad oggi. E’ stato con un atto di puro amore che agli inizi dei tempi Dio creò l’universo ed in esso l’uomo: ma non trascorrerà molto tempo che Caino, geloso, ucciderà Abele l’innocente;che Giuda tradirà Cristo col più simbolico gesto d’amore: il bacio; che Luther King e Anna Frank cadranno, amando e infocando la pace tra gli uomini, colpiti dalla violenza, sempre cieca, e dall’odio talora sottilmente e ragionatamente diabolico. Solo l’amore arcano e perenne di Francesco e Chiara, solo la lunga e paziente sofferenza laboriosa dei negri delle piantagioni americane ( e direi di tutti gli uomini che lavorano, in ogni parte del mondo che considerano il lavoro, di per sè, fonte e opera di riscatto e di elevazione) costituiscono come una pausa al combattimento cruento tra l’amore e l’odio, tra Abele e Caino.
Tema altissimo, appassionante, davvero universale.
Ma quel che avvince davvero in questa opera folk di Tony Cucchiara, oltre l’indiscussa importanza dell’assunto, oltre la semplicità nuda e popolare delle scarse parole ( poco più che didascalie indicative di guida o addirittura di enunciazione degli argomenti e dei personaggi che appartengono tutti alla mitologia universale del Bene e del Male ), è la sincerità e la felicità e spesso la novità di ispirazione che sorregge la vasta e ricorrente tessitura musicale. Non voglio cercare in che modo o in che misura ( non è il mio compito) Tony Cucchiara sia del tutto originale, o se altri prima o meglio di lui si son già messi per questa strada: quel che mi sento di dire, esprimendo un sentimento autentico di ascoltatore, è che questa opera convince e commuove e rende partecipi per la sincerità del canto, delle melodie e dei cori; non ho mai sentito la falsità o l’astuzia del contrabbando e della moda, ma sempre schiettezza e personalità. L’opera si apre e si chiude con due brani-che son tra i belli-dedicati direttamente all’Uomo: la preghiera di ringraziamento, all’alba del tempo, per essere nato; e la richiesta supplichevole, un’altra preghiera, perché, oggi, sia perdonato del male e sia soccorso nella fatica del vivere in un mondo come il nostro in cui odio e amore, Abele e Caino, si ritrovano ogni giorno faccia a faccia.