Serata rigorosamente "black tie" ieri sera al Teatro Nazionale di Milano per la "prima" della versione italiana de "La Bella e la Bestia", il musical tratto dall’omonimo celebre film a cartoni animati di Walt Disney. Ad applaudire Arianna e Michel Altieri e tutto il cast c’erano tanti ospiti vip, tra i quali abbiamo "avvistato" una sempre splendente Lorella Cuccarini, Giampiero Ingrassia, Giorgio Pasotti, Nicoletta Romanoff, Manuel Casella, Sara Tommasi, Federica Fontana, Giorgio Faletti, Marco Columbro, Marco Maccarini, Geppi Cucciari, Rosita Celentano, Kledi Kadiu, Rita Pavone, Lena Biolcati, Silvia Di Stefano, il disegnatore satirico Giorgio Forattini, il regista e coreografo Fabrizio Angelini, il produttore Michele Renzullo, Diego Dalla Palma, Rocco Casalino e Sergio Volpini del Grande Fratello, Jessica Polsky (attrice, moglie di Michel Altieri), gli stilisti Francesco Martini Coveri e Domenico Dolce, Federica Moro, Stefania Rocca, Maddalena Corvaglia, Miriana Trevisan, Rossano Rubicondi, Ludmilla Radchenko, Stefano Bettarini, Samantha Togni di "Ballando con le stelle", il cantante e dj Daniele Battaglia, Francesca Senette, il produttore Giorgio Gori, Lele Mora, le cantanti Paola e Chiara, Susanna Messaggio, Luca Bizzarri, Dario Ballantini nei panni del ministro Brambilla e sicuramente altri che… ci sono sfuggiti. Era inoltre presente l’autore delle musiche dello show, il premio Oscar Alan Menken, cui la platea ha tributato un caloroso applauso al termine della rappresentazione. "La Bella e La Bestia" sarà in scena dal martedì alla domenica, con 8 rappresentazioni alla settimana.
Su "La Stampa" di oggi è già apparsa la critica di Masolino D’Amico:
Una volta noi italiani avevamo il varietà e gli americani il musical, che il nostro pubblico guardava con diffidenza. Poi la televisione incorporò il varietà e anzi gli si sostituì; e da noi Garinei e Giovannini lanciarono la commedia musicale, ossia una via di mezzo tra il musical americano e il genere moribondo. Poi pionieri come Saverio Marconi si misero in testa di importare il musical americano verace, e con tenacia riuscirono non solo a imporre il gusto per quello, ma anche a creare le strutture necessarie, formando i necessari nuovi attori-ballerini-cantanti. Infine, ed è storia recente, si sono imposti anche nel Bel Paese i grandiosi musical multinazionali, superproduzioni omologate per spazi molto ampi, a volte addirittura dentro strutture create all’uopo, capaci di ospitare parecchie migliaia di spettatori alla volta, quasi come un concerto rock, o di sostenere parecchie repliche in un posto solo dove convogliare le masse. Questi megaspettacoli sono probabilmente la sola forma di teatro dal vivo cui molti, specialmente tra i giovani, si avvicinano; ma in certi casi dello spettacolo dal vivo conservano abbastanza poco. Romeo e Giulietta di Cocciante, per esempio, fruiva di infiniti e sontuosi cambi di scena ottenuti con proiezioni cinematografiche, i visi degli interpreti erano enormemente ingranditi su degli schermi, le musiche erano registrate, e le voci talmente amplificate da non lasciar capire se si cantava davvero o se si era in playback.
In questo fortunato filone l’ultimo arrivato, La Bella e la Bestia, costituisce un compromesso più a misura d’uomo: il Teatro Nazionale di Milano ha «solo» millecinquecento posti; non ci sono proiezioni ma scenografie tradizionali; non si vedono microfoni sulle facce degli interpreti. Per il resto, com’è ovvio, ci si indirizza a uno spettro di avventori il più ampio possibile, e sotto questo punto di vista confesso di essermi posto qualche domanda sulla scelta del tema, che è una fiaba arcinota, quindi destinata per definizione all’infanzia. Quando questo avviene, pensavo, ci si potrebbe aspettare che la vicenda venga un po’ adattata agli spettatori più grandicelli, il che non sembra difficile – a guardarle bene infatti le fiabe oltre a una componente violenta e feroce presentano quasi sempre sostrati ambigui e inquietanti. Nella nostra, come si sa, il disinteressato slancio affettivo di una fanciulla libera un mostro dalla schiavitù di un incantesimo, ritrasformandolo nel bellissimo principe che era prima. Quali pulsioni sotterranee di erotismo represso, di fascinazione per il proibito, non potrebbe andarci a pescare un rielaboratore moderno neanche troppo «mal tourné»? Così, apprendendo del trionfo ormai ben più che decennale di un allestimento collaudato a Broadway e in altre grandi città, ora consegnatoci con un cast tutto italiano al servizio di regia, scene, costumi, acconciature, coreografie e musiche uguali, invece, dappertutto – mi aspettavo una versione almeno un tantino maliziosa nella direzione che ho detto. Macché. Sia il regista Glenn Casale sia gli autori Linda Wolverton, e per le canzoni Howard Ashman e Tim Rice, sanno, a differenza di me, che lo spettatore moderno è rimasto fondamentalmente un bambino, e pertanto hanno rispettato scrupolosamente la versione della nonna, beninteso insaporendola con qualche aggiunta arguta e piacevole. Il principe diventato deforme è un ex ragazzo viziato e capriccioso; la ragazza che si innamora di lui, una ingenua dal sorriso radioso inestirpabilmente avvitato alle gengive; il babbo di lei, un simpatico svaporato inventore alla Benjamin Franklin. L’atmosfera del torvo castello nel quale la giovane langue prigioniera del recluso è assai alleggerita da certi garruli cortigiani trasformati in mobili animati alla Lewis Carroll – un candelabro con accento francese, un orologio a pendolo, una teiera con tanto di tazza da cui sporge la testa di un pargoletto vero e parlante, un comò che canta con poderosa voce di soprano lirico. Aggiunto alla storia archetipa, che altrimenti sarebbe a senso unico, c’è poi un rozzo bellimbusto di paese che fa una greve corte all’eroina. Le scene di massa, di gaia energia (ma non aspettatevi ballerine poco vestite), sono affidate a popolani ovvero, nella più trascinante, a fastose stoviglie canore, per il pranzo indetto dal mostro.
L’astuto candore di tutto ciò è organizzato in una opulenta serie di quadri in cui non mancano le trovate, dentro ambienti in perpetuo mutamento tra il villaggetto coi villici e le nere colonne del maniero stregato. Adeguatamente ammaestrati, gli interpreti sono impeccabili, dalla protagonista Arianna sempre uguale a se stessa come un cartone animato, al ben truccato mostro canoro di Michel Altieri, all’archimede rurale di Umberto Bellissimo, al quartetto delle suppellettili viventi (Manuela Zanier, Emiliano Geppetti, Roberto Giuffrida, Simone Leonardi), ecc., con menzione speciale per lo spiritoso macho rurale di Andrea Croci. Due ore abbondanti più intervallo, entusiasmo dei grandi e, sì, anche dei piccini.
E Roma attende «Cats»
Saverio Marconi: quanti passi avanti
La Compagnia della Rancia stavolta punta su Cats, che a Broadway ha avuto 9000 repliche e debutta in «prima» italiana il 28 ottobre, a Roma. Un capolavoro del genere nato nei primi Anni ’80 e ispirato a un libro di poesie per bambini di T. S. Eliot, che mostra in un perfetto equilibrio di emozioni, gli aspetti umani dei gatti, e quelli «felini» degli umani. «Il livello qualitativo riscontrato durante le selezioni – dice il regista Saverio Marconi – è altissimo: significa che in Italia sono stati fatti passi in avanti, come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in tutte le discipline».
Masolino D’Amico – La Stampa