Usciti da poco di prigione, due giovani musicisti, un uomo e una donna, decidono di formare una band. Setacciano il mondo underground della Teheran di oggi in cerca di altri musicisti. Siccome suonare in Iran è vietato, progettano di fuggire dalla loro esistenza clandestina e sognano di esibirsi in Europa. Ma senza soldi e senza passaporti non sarà facile… E’ questa, in sintesi, la trama del film di Bahman Ghobadi "I gatti persiani" (No One Knows About the Persian Cats), premiato nella sezione "Un certain regard" all’ultimo Festival di Cannes, finalmente sugli schermi italiani dal prossimo 16 aprile. Sul film il critico Paolo Mereghetti ha scritto, sul Corriere della Sera: "Al suo secondo giorno, Cannes butta sul tavolo il suo primo capolavoro. Ma a farlo non è il concorso, bensì la rassegna parallela Un certain regard, inaugurata ieri dal film iraniano Kasi az gorbehaye irani khabar nadareh (letteralmente, Nessuno sa niente sui gatti persiani), un viaggio travolgente e insieme sconvolgente nelle «catacombe» di Teheran, dove sono costretti a nascondersi i giovani che vogliono suonare e ascoltare rock. A firmarlo il regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi, in Italia conosciuto per il bellissimo Il tempo dei cavalli ubriachi (del 2000) e in patria regolarmente boicottato se non totalmente censurato dal potere centrale. Scritto assieme a Hossein M. Abkenar e alla fidanzata Roxana Saberi – finita sotto i riflettori del mondo per il processo, conclusosi pochi giorni fa abbastanza felicemente, in cui era stata accusata di spionaggio a favore degli Stati Uniti e che ieri notte era data in partenza da Teheran per gli Usa o per Cannes -, il film segue le disavventure di un ragazzo e una ragazza, Ashkan e Negar, decisi a emigrare per poter coltivare la loro passione per la musica. Anche se per farlo hanno bisogno di passaporti e visti, anche per i musicisti disposti a unirsi a loro per formare un gruppo «vendibile» all’ estero. Per questo entra in campo Nader, insostituibile guida per le cantine e i nascondigli della città, dove trovare chi può vendere i documenti falsi ma anche scritturare il resto del gruppo. A questo punto il film diventa un viaggio avventuroso e istruttivo tra i veri musicisti underground di Teheran, costretti a suonare sui tetti delle case o nelle stanze più nascoste, alla scoperta di un mondo di cui nessuno parla ma che dimostra una vitalità e un’ energia incredibili. Per non parlare della forza delle loro canzoni – heavy metal, indirock, rap – tutte preoccupate di raccontare il loro Paese, la condizione giovanile e le tante contraddizioni della politica ufficiale. Un mondo che nessuna autorità avrebbe autorizzato a mostrare e che infatti Ghobadi ha filmato senza permesso, in 17 giorni, spostandosi in moto con i suoi musicisti, con una piccola telecamera digitale perché il materiale a 35 mm è di proprietà dello Stato e a un regista così non l’ avrebbe mai dato. E usando persino i dvd illegali dei suoi film per corrompere i poliziotti che per due volte avevano voluto arrestarli. Ghobadi non parla mai direttamente di argomenti politici (se non in un’ esilarante scena di processo-ramanzina inflitta a Nader, una prova d’ attore che meriterebbe da sola l’ Oscar) ma mostra la corruzione diffusa e la brutalità della polizia e sfrutta la mobilità delle riprese per iniettare nel film un ritmo e un’ energia immediatamente coinvolgenti. Come l’ entusiasmo contagioso dei suoi protagonisti, disposti anche ad andare in prigione per soddisfare la loro passione e pronti a mettere nel conto anche la crisi di latte di un gruppo di mucche che non sembrano apprezzare per niente le prove di un complesso metal nella loro stalla. E anche se la durezza e la crudeltà della realtà finisce per entrare nella storia, il tono del film non è mai lamentoso, ma sempre sorretto da un’ ironia capace di riscattare la disperazione della realtà".