Addio a Shelley Duvall

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Scritto da: Redazione • 12 Luglio 2024
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Il suo volto atterrito in Shining – l’horror capolavoro di Stanley Kubrick in cui interpretava la moglie di Jack Nicholson (1980) – è la prima immagine che ci viene in mente quando pensiamo a Shelley Duvall. Ma la compianta attrice texana – morta nel sonno l’11 luglio a 75 anni per via di una grave forma di diabete – al cinema è stata anche altro, tanto altro.
A cominciare dalla speciale collaborazione professionale con un altro maestro della settima arte come Robert Altman, il regista che di fatto la scoprì e per il quale lei diventò Millie nel celebre film Tre donne (1977). Un ruolo tragicomico e semi-improvvisato (quello di una dipendente di una SPA per anziani nel deserto californiano, che invita una collega, interpretata da Sissy Spacek, a condividere il suo appartamento, provocando una confusione di identità) che le conferì definitivamente lo status di attrice e che le fece vincere il premio come Miglior interprete femminile al Festival di Cannes 1978.
L’incontro con Altman avvenne nel 1969, ad una festa organizzata per il suo fidanzato dell’epoca, l’artista Bernard Sampson: Shelley Duvall, all’epoca ventenne, venne notata dal regista e ottenne il suo primo ruolo nel film Brewster McCloud (Anche gli uccelli uccidono, 1970). Lei, ancora non convinta di intraprendere la strada del cinema, ha un talento innato, nonostante una goffaggine infantile. Seguiranno, sempre con Altman in regia, in rapida successione I compari (McCabe & Mrs. Miller, 1971), Gang (Thieves Like Us, 1974), Nashville (1975) e Buffalo Bill e gli indiani (Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull’s History Lesson, 1976).
Prima del già citato Tre donne, si accorge di lei anche Woody Allen che la arruola nel suo capolavoro Io e Annie (1977, con protagonista Diane Keaton). La sua interpretazione – in gran parte tagliata in fase di montaggio- lascia una grande impressione in chi guarda il film nei panni di Pam, una giornalista di Rolling Stone che pronuncia battute aspre e ironiche. Poi nel 1979, convocata dall’intellettualmente gigantesco Stanley Kubrick, prende parte al film che la rese celebre in tutto il mondo: Shining. Eppure fu proprio questa pellicola a segnarla nel profondo, mettendo a dura prova la sua tenuta mentale: “Kubrick mi ha fatto piangere 12 ore al giorno per settimane – confidò alla rivista People nel 1981 – Non darei mai così tanto per un ruolo. Se vuoi far soffrire la gente e chiamarla arte, fai pure, ma senza di me”.
Una volta fuggita dall’Overlook Hotel, Shelley Duvall recitò ancora (la settima e ultima volta) per Altman in Popeye – Braccio di Ferro (1980, lei è Olivia, la moglie del protagonista, interpretato da Robin Williams) e poi per Terry Gilliam nella commedia nera I banditi del tempo (1981). Subito dopo le sue apparizioni sul grande schermo negli anni successivi caleranno bruscamente, anche se vanno ricordate le sue prove con grandi registi come Tim Burton (Frankenweenie, 1984), Steven Soderbergh (Torbide ossessioni, 1995) e Jane Campion (Ritratto di signora, 1996). Del 2023 è invece la sua ultima apparizione, in The Forest Hills di Scott Goldberg.
Ricordarla solo per la pellicola di Kubrick sarebbe un errore, una “prigione” dentro la quale lei, anche e soprattutto ora che non c’è più, non merita di essere relegata. Il ricordo di Shelley invece deve volare libero, come recita il toccante messaggio pubblicato sull’Hollywood Reporter dal suo compagno Dan Gilroy, (regista e sceneggiatore) per annunciarne la morte: “La mia cara, dolce, meravigliosa compagna di vita e amica ci ha lasciato. Lei, che ultimamente soffriva troppo, ora è libera. Vola via, bella Shelley”. (Fonte: vogue.it scritto da Giacomo Aricò)

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