E’ morto il regista Filippo Crivelli

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Scritto da: Redazione • 6 Febbraio 2022
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È mancato ieri notte, sabato 5 febbraio, dopo una lunga malattia e un difficile finale di partita, Filippo Crivelli, per tutti il Pippo, classe ’27 e se ne va la memoria del teatro, gossip compresi, una materia che non aveva segreti per lui che aveva frequentato la sua amata lirica, ma anche balletto, cabaret, prosa, operetta, musical. Era rimasto l’unico a poter raccontarti in diretta su Visconti, Zeffirelli, Tosi, Bolognini, Donati, la Brignone, Laura Betti, Franca Valeri, Milva, perfino la Callas e Pavarotti, chiamandoli tutti per nome perché aveva iniziato in quell’Olimpo.
Una irresistibile fonte di aneddoti. Conosceva tutti come un medium collettivo, fu bambino fedele alle marionette Colla (che gli ispirarono il «Ballo Excelsior»), poi fra gli spettatori che il 14 maggio ’47 plaudirono l’inaugurazione del Piccolo Teatro di Milano, sapendo raccontarti il clima culturale dell’epoca nelle sue altezze e bassezze, Grassi e Strehler al circolo Diogene, le prime regìe del maestro, i momenti difficili alla Scala tra Luchino e Ghiringhelli ai tempi di «Traviata». «Eravamo un gruppo di scapestrati in lotta contro la tradizione» diceva.
Cinefilo onnivoro (alla sera ripassava in tv i film del passato) e conservatore in proprio di cimeli, Crivelli era veramente una miniera, avendo recitato per oltre 50 anni tutte le parti in commedia: amava in primis la lirica, ma uguale dedizione aveva per la prosa, il cabaret, il balletto, la rivista, il musical, la canzone intellettuale e popolare di cui era profondo conoscitore. Una passione che gli permise dal ’63 il grande successo di «Milanin Milanon», nelle sue molte edizioni, con Carraro, Milly, Nogara, Mantovani e il deb Iannacci e nel ‘64 «Bella ciao», spettacolo di canzoni popolari ideato con Roberto Leydi e con la voce della Marini.

Crivelli era nativo, residente e innamorato di Milano, dove era nato il 27 marzo 1927, in una bella casa di Porta Venezia in cui entrò a sei mesi e visse tutta la vita (il nonno fondò la Baldini & Castoldi, un suo ritratto è donato a Brera), studente del Parini e poi del Conservatorio, pur con estati raminghe che lo portavano in Sud America ad allestire opere. Oggi siamo orfani di un uomo di spettacolo globale, che non rifiutava nulla aprioristicamente, passando dalle opere alle sfilate di Palazzo Grassi, capace di canticchiare Verdi, Milly, la Osiris.

Se ne è andato dopo aver collaborato con i maggiori enti lirici d’Italia, dalla Scala all’Opera di Roma (nel 2019 trionfò con un dittico di Kentridge e Calder), ricco di tutte le altolocate amicizie dei palchi, da casa Toscanini a casa Crespi, ma amante oltre che dei velluti e delle aristocratiche ceneanche delle panche delle balere, della canzone pop folk della Marini. Ha iniziato come assistente dei grandi, di Visconti e Zeffirelli, dell’amica Pavlova e di Antonioni nell’unica sua stagione teatrale già con la Vitti.

Certo fu prolifico e nell’opera non si contano i suoi allestimenti lirici in tutto il mondo, fino a Parigi e Chicago, dalla prima «Bohème» a Genova nel ’58 in poi: basta citare un nome e ci aveva lavorato o l’aveva scoperto, ed era sempre vero. Il suo compositore di riferimento fu Donizetti di cui allestì 19 titoli (segue Verdi) fra cui l’acclamata «Figlia del reggimento» e un «Cabaret Rossini» a Pesaro. Non c’è titolo che non abbia frequentato, «prima» che non ricordasse, baruffe che non lo videro testimone fra le varie fazioni quando a teatro si faceva il tifo.

Le star della lirica avevano cantato con lui, dalla Tebaldi a Del Monaco, dalla Caballè a Di Stefano, dalla Simionato ad Alva, dalla Valentini alla Kabaivanska e alla Ricciarelli, senza contare i famosi recital del Gerolamo che furono una stagione a parte di Milano e della sua carriera: quello storico con Milly con cui ebbe un rapporto durato una vita, compresa la produzione di due dischi di cui andava giustamente orgoglioso; poi il famoso «Giro a vuoto» con Laura Betti su testi di Antonioni, Arbasino, Buzzati, Bassani, Calvino e serate emozionanti con l’amica Valentina Cortese nel ruolo della Duse, con Milva e Piazzolla, storico recital a due con voce e fisarmonica; e poi la Asti, la Koll «Ninotchka», Paolo Poli, Peppe Barra, Maria Monti, la Melato degli inizi, Mario Cei con Prévert e la Rosalina Neri che gli deve una bella fetta di carriera.

Tra gli exploit un mitico allestimento nel ‘67 di «Ballo Excelsior» di Manzotti e Marenco (proprio quello amato da piccolo con le marionette dei Colla) che divenne, prodotto da Paone per il Maggio fiorentino e poi alla Scala, un punto di riferimento per sapienza, ironia e cultura, con scene di Coltellacci. Con l’operetta un amore lungo e profondo, che conta sei edizioni della «Vedova allegra», il rarissimo «Mikado» di Gilbert & Sullivan, «Al Cavallino bianco», «Il pipistrello» di Strauss e moltissimi altri titoli famosi, festival da Trieste a Palermo, con Pandolfi, la Masiero, e anche un ironico cabaret al Piccolo, «Canzoni senza festival».

Inaugurò i nuovi studi tv di Milano con uno spettacolo musicale con i grandi nomi cittadini (lo si trova in rete, guardatelo), è regista di «L’amore e la guerra», «Canzoni tra due guerre» e si rincorrono sul piccolo schermo Vanoni, Palmer, Gaber, la Valeri, Poli. Arte varia, gli piaceva la definizione ed era adatta, vedi le magnifiche «12 Cenerentole» con Rita Cirio e il suo amico Lele Luzzati al Teatro della Tosse di Genova, il lavoro sul teatro di Campanile e Labiche, su Negri e Carpi all’Università di Milano e il musical dal «Mago di Oz».

Una storia infinita che in prosa incontra Proclemer e Albertazzi, Calindri, Nancy Brilli, ma soprattutto un’«Orestea» di Eschilo di cui si parlò a lungo, coi contributi scenografici di Emilio Isgrò e Arnaldo Pomodoro, all’aperto sulle rovine di Gibellina. Una valanga di materiali che negli ultimi anni il Pippo cercò invano, mentre continuava a seguire tutti i teatri, di raccogliere e per i 90 anni si regalò un arguto libretto biografico e prese l’Ambrogino d’oro. Dubito abbia mai terminato di raccogliere gli echi infiniti di una così lunga vita dedita ai molti volti del teatro, alle infinite memorie e ai suoi due aristogatti, di cui uno l’ha preceduto nell’eternità, aprendogli da maggiordomo una nuvola. (Fonte: corriere.it, di Maurizio Porro)

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