Abbiamo incontrato per voi Michel Altieri, interprete italiano ormai stabilitosi a New York, ma nuovamente in Italia nel cast di "The Best of Musical", il concert show diretto da Chiara Noschese al secondo anno di tour (le date nella nostra rubrica "Spettacoli").
A New York, hai interpretato Dracula con George Hearn, e The Waterdream con Anthony Rapp, in Italia sei stato la Bestia e Dorian Gray ma nei club di Manhattan si ballano i tuoi pezzi house… chi è il vero Michel Altieri?
La musica per me è la gente. Io sono un attore e cantante che, appunto amando la gente, non conosce i limiti nella musica. A 10 anni ascoltavo Malcom Mc Laren che mischiava house-music e opera…come potevo crescere in modo ordinario? Ho cominciato con l’elettronica, ho sempre avuto un debole sia per le orchestre che per i dj, insegno letteratura Italiana agli americani ma con il figlio di Norman Mailer, il più’ grande scrittore americano, vado a vedere Moby che suona electro-pop a Soho. Vivo il mio mestiere in modo moderno, non mi interessa altro.
Il performer newyorkese migra da un genere all’altro?
A New York è normale abbracciare generi diversi e creare. La parola magica è proprio creare… Audra McDonald ha stupito tutti trasformando il suo vocione in quello di Billie Holiday, Jamie Foxx fa pezzi dance con voce effettata e vocoder, ma ha vinto un Oscar per Ray Charles. Lady Gaga fa pop e ora jazz. L’importante è non avere la presunzione di poter fare tutto, per carità. Le scelte devono essere appropriate. Una cantante country non può fare Christine nel Phantom e uno alto un metro e quaranta sarebbe ridicolo come Danny Zuco in Grease. Io non ho una voce sola, tecnicamente uso il mio strumento in diversi stili e sono fiero del duro lavoro che faccio in teatro da 15 anni. Ma anche entrare in un club di Manhattan e sentire che suonano un mio brano è una grandissima soddisfazione.
Come è cominciata invece questa tua avventura con The Best of Musical?
Sono stato chiamato in una calda estate dal direttore di Stage Entertainment Italia, Matteo Forte (che produce lo spettacolo con Show for fun), per una’ idea top secret che poi si è rivelata una bomba: rimettere insieme i protagonisti originali di quattro show (La Bella e la Bestia, La Febbre del Sabato Sera, Mamma mia e Sister Act). Mi ha fatto volare appositamente da New York per essere di nuovo la Bestia e aveva ragione. Lo spettacolo è sold out dalla prima replica…
Cosa vuol dire per te interpretare di nuovo il tuo personaggio più amato dal pubblico a quattro anni di distanza dalle repliche record dell’edizione milanese?
Mi batte il cuore. La bestia di mio aveva solo quello, e gli occhi… perché tutto il resto era annientato dalle protesi. Stavolta è paradossalmente più difficile perché si tratta di un concert show, quello che canta sono io, non c’è la protezione del personaggio e sono decisamente più vulnerabile: chi sono? dove vado? Mi sono affidato alla regista ed ho fatto solo bene perché, scusatemi tanto , ma la Noschese è top.
In che senso Chiara Noschese è "top"?
Niente, la Noschese ha vinto. Io la amo prima di tutto perché è una visionaria che crea, si ammazza di lavoro e non pettina né bambole né attori. Lei possiede il concetto di modernità; sa da dove viene questo mondo e dove sta andando, trova un senso drammaturgico pure se ti gratti la testa in scena, capisci, ma non te la farà mai grattare in modo ovvio. Lei si defila dalle ovvietà e io pure, per questo c’è sintonia. La Noschese quando te la trovi davanti che monta una scena, ha le fiamme negli occhi. SI! Perché, signori, il regista deve avercelo il sogno negli occhi e tu, con lei, vuoi prendere fuoco. Giuro.
In che cosa è cambiato The Best of Musical rispetto alla prima edizione della scorsa stagione?
La dimensione è più teatrale, i numeri hanno guadagnato un’intimità nuova. La coreografa Eleonora Lombardo è entrata alle prove liscia ed è uscita riccia per il lavoro che ha fatto su di noi. Si parlerà molto di lei in futuro.
Ci sono molti colleghi celebri nel cast; qual è il tuo rapporto con loro?
Beh, innanzitutto Arianna, la mia Belle che conosco dai tempi in cui era innamorata di Pluto, capite…. siamo amici per la pelle, poi Pironti di cui segretmente conservo qualche poster nel mio armadio, e infine è stato curioso incontrare di nuovo dopo tanti anni Francesca Taverni e Michele Carfora con cui debuttai da ragazzino in Rent. Siamo maturati, meno presi forse dall’ego. Francesca un giorno in camerino mi fa: – sei migliorato, sai -, e io: – grazie anche tu!- ; ora la Noschese ci ha messi insieme su un cubo, ecco.
Ti senti davvero cambiato?
Quando hai 20 anni sei preso da quella smania di farcela, fai errori che dopo 15 anni non farai più, perché ne farai altri, ovvio. Ero una gioiosa macchina da guerra all’epoca, un po’ naif, un ambizioso ma non arrivista. Ah quello mai, quello dà le gomitate. Non sono mai stato uno preso da sé, perché ho sempre pensato di tenere la mano di qualcuno in questo mio cammino verso "l’affermazione". Oggi mi interessa più tenere strette le persone a me per goderci il cammino piuttosto che "l’affermazione". Quella l’ho toccata ed è come un party: da solo non ha senso.
Mancando Gabrio Gentilini impegnato in Dirty Dancing, tu sarai anche Lumiere…
Mi spiace che il mio amico Gabrio non ci sia, ma sono felice per il suo successo, lui è il migliore sulla piazza al momento e guai a chi me lo tocca! Lo dico perché so quanta invidia ha addosso da certi colleghi che non possono tollerare quelli bravi, belli e alti. Stanno "schiattando" e io me la rido, perdonatemi! Comunque sì, la mia novità più eclatante è che, oltre alla Bestia, interpreto Lumiere, ma la Noschese ha rivisitato il numero di "Be our guest" dandogli un’aria … come dire… ‘brechtiana’, e mi ha impostato il personaggio in una direzione decadente alla Alan Cumming in Cabaret.
Un personaggio cucito su misura su di te…
Si sa io sono uno che lavora con Orchestre e Dj’s. Ho sempre cercato il contrasto nella tecnica.
Com’è il clima nel backstage di Best of Musical?
Ogni tanto ci inseguiamo nei camerini tipo gita scolastica, io sono un po’ il clown del gruppo e per una volta non ci sono storie di invidie e intrighi vari. Forse perché siamo tutti veterani, forse perché chi ci dirige è un’attrice che conosce le dinamiche degli attori, gioca con noi e ha distribuito bene le parti. Oppure perché ci stiamo divertendo senza paura di dover apparire in nessun modo. Ogni tanto sento di compagnie, anche attualmente in scena, dove si sono guerre interne laceranti e mi chiedo, ma come? Già ci sono poche audizioni in questo paese, è così difficile essere presi e poi, che si fa? Invece di unirsi e darsi forza ci si sfascia? Uno spreco! Il senso di questo mestiere è creativo, deve elevarci. Tutto quello che ci spinge verso il basso non è ammissibile.
In America è davvero differente?
Si sa che tutto il mondo è paese, ma in generale, almeno a New York dove vivo, non è così. Non c’è il problema storico dell’invidia made in Italy. Forse perché il sistema è più sano, hai quello che ti meriti, se non ce l’hai vuol dire che uno è stato più bravo, non più raccomandato di te. Risultato, sei spinto a studiare di più e ad eccellere, perché quelli bravi cantano già in metrò. Da qui nasce il famoso "livello americano" che sembra sempre inarrivabile proprio perché il performer non smette mai di perfezionarsi, di superarsi.
Tu sei membro di Actors’ Equity a Broadway, in che modo gli attori sono più protetti?
Innanzitutto, come dicevo, non c’è il raccomandato che ti passa davanti perché in mezzo c’è un ufficiale del sindacato che presiede ogni audizione. Poi che posso dire? Se una produzione ti vuole assumere deve per esempio versare al sindacato due mensilità non solo per te ma per tutto il cast e i tecnici, così nel caso succedesse qualcosa hai sempre garantito quello che ti spetta; fantascienza per l’Italia.
Cosa non sappiamo ancora?
Che per esempio se una nuova produzione ti cerca e ti propone uno stipendio più alto di quello che stai prendendo al momento in un altro spettacolo, per legge il sindacato interviene e chiede l’aumento per te, altrimenti sei liberissimo di migrare a quello nuovo. Equity vuole assicurarsi che la carriera dell’artista possa evolversi Poi ci sono regole sacre come il diritto sull’audio e sullo "spotlight," se ci fate caso a Broadway ogni singolo protagonista ha il suo segui-persona sempre perennemente puntato. Questo perché la luce frontale diretta sul volto dell’attore rende la sua mimica facciale più incisiva. Poche storie. si vedono meglio gli occhi e quindi meglio l’anima.. In Italia per una questione di budget la luce te la devi cercare come capita e troppo spesso i puntamenti sono a pioggia creando l’effetto occhiali da sole che annientano lo sguardo che è primo elemento di carisma dell’artista. Con il segui-persona risulti più bravo, e questa non è una questione puramente estetica.
Com’ è la relazione tra performer e regista a New York?
In generale l’attore viene messo in condizioni di creare e di proporre delle scelte, poi viene spinto a eccellere con il celebre atteggiamento politically correct americano, "ti dico prima cosa è giusto poi ti assalgo con ciò che hai fatto di sbagliato". Il fatto che il performer prima riceva un riconoscimento e poi la correzione può sembrare un po’ una tecnica diplomatica ma alla lunga funziona perché se t’hanno appena detto che sei bravo in qualcosa sei più forte e disposto ad accettare la critica che viene subito dopo. E migliori. Una cosa che mi ha lasciato allibito ma che condivido è che dopo il debutto, per legge, il personaggio è nelle mani dell’attore e il regista non può dire più nulla. Ovviamente resta sempre una supervisione per conservare l’impostazione di regia, ma a differenza dell’Italia, dove spesso arriva un tipino armato di penna rossa e taccuino a dirti che non puoi respirare o muovere un dito in un certo modo, lì nessuno può dire una parola se il performer decide di vivere il suo personaggio in un modo differente delle prove. E’ l’attore che lo porta in scena e lo segue nella sua evoluzione, nessuno dovrebbe avere il diritto di immettersi in questo delicato equilibrio. E sono d’accordo.
L’esperienza più difficile della tua carriera?
Ho fatto molti spettacoli belli e un paio bruttini. Ovviamente tutti parevano belli sulla carta se no, non avrei accettato…ma li ho sempre portati a termine con la più totale onestà, senza mai giudicare i miei personaggi in primis, regola da teatro russo. Il mio ricordo peggiore è una partner con cui non c’è stato verso di trovare una sintonia. Lei, che non voglio giudicare seppure ho un’opinione ben precisa, detestava che fossi vero in scena, voleva che mi attenessi al "compitino", ma lavoravo già negli Stati Uniti e sapevo che un collega non può permettersi di dare delle note. E’ chiaro che se metti in scena uno che da’ l’anima e l’altro che fa il robottino, viene meglio fuori il primo, ed è inevitabile che il secondo tenti di colpire il primo con metodi diciamo subdoli. Trovo non sia corretto, per questo a Broadway c’è una legge che ci protegge a volte anche dai colleghi. Io ho preferito perdonarla e renderla partecipe di ciò che provavo, continuando a guardarla negli occhi fino all’ultima replica.
Per concludere ancora una sola domanda: è felice ora Michel Altieri? Ma intendiamo nella vita privata, non professionalmente.
So che nell’ambiente si chiacchiera molto del mio privato, ma al contrario di chi ha doppie vite con amanti e amantini vari -lo sappiamo tutti- , io ho preferito il coraggio dell’amare e basta. Ho amato follemente, con tutto me stesso, una persona per 10 anni e ne amo una completamente diversa ora. Tutto qua. Ero vero e felice prima come lo sono ora. E’ cosí bello amare non appartenendo a nessuna categoria o definizione…e io sono sempre stato cosi.