L'ECO DI BERGAMO  - 15/03/2003

Con Pinocchio il sogno è realtà: è nato il musical all'italiana


Finalmente. Il debutto del musical Pinocchio , ieri al Teatro Diners della Luna di Milano, realizzato per l'occasione accanto al Filaforum di Assago, chiude tre anni di preparazione segnati da curiosità, attesa, forse anche da scetticismo. La scommessa era alta: mettere insieme la Compagnia della Rancia e i Pooh, vale a dire la migliore formazione di musical e la più famosa band italiana, per un'operazione su standard di qualità internazionali, a partire dal budget. Per questo Pinocchio non è «solo» uno spettacolo. È il sogno di realizzare una struttura stabile per la commedia musicale. È addirittura il tentativo di modificare le abitudini itineranti dello spettacolo italiano: Pinocchio resterà a Milano, almeno fino a giugno, ma l'ambizione è durare per anni, come avviene a New York, Londra e Parigi, le tre capitali del musical. Per riuscirci, serve uno spettacolo all'altezza. Da qui la tensione che si respirava al debutto.
Doveva succedere qualcosa, qualcosa è successo. Lo spettacolo conquista. Il cast è forse il migliore oggi possibile, la regia accorta, le coreografie regalano almeno due scene strepitose (l'ingresso nel Paese dei Balocchi e la caduta di Pinocchio in mare). Le musiche seguono la linea di un giudizioso pastiche di generi a base pop, i testi si inseriscono nella drammaturgia, anche se con qualche «scivolata» (un esempio: «sempre insieme io con te/come il latte col caffè/come il cacio con le pere»). La drammaturgia ha qualche rallentamento, ma non perde il filo. Si impongono, per qualità e coerenza estetica, le scenografie, che alla spettacolarità richiesta dal genere uniscono una notevole raffinatezza iconografica, e i costumi, a cui è stata data una colorazione «piatta» in stile fumetto.
Con Pinocchio , si apre una fase nuova. Il musical italiano mette finalmente a segno la sua prima grande produzione. E a convincere non è solo l'apparato, ma l'esito complessivo. Saverio Marconi ha potuto avvalersi di mezzi come mai prima: 800 proiettori, 35 cambi di scena, 300 costumi, 60 persone dietro le quinte tra macchinisti e tecnici, un palcoscenico da 800 metri quadrati, una sala confortevole (difficile fare meglio con un teatro-tenda) da 1700 posti, 33 attori-ballerini-cantanti. Ma una macchina del genere bisogna saperla usare. Lui c'è riuscito. Questo Pinocchio non è un fenomeno da baraccone, è uno spettacolo vero.
Sul piano del racconto, è godibile. Lo spettacolo sa conquistarsi una propria autonomia dal romanzo, per la magnificenza della confezione e la chiarezza dell'impronta drammaturgica. Marconi, Pierluigi Ronchetti e i Pooh - il regista, l'autore dei testi recitati e gli autori delle canzoni - hanno riscritto il racconto di Collodi in chiave modernizzante. Pinocchio (Manuel Frattini) è un bambino in cerca di identità, che vuole essere libero. Acquista uno speciale rilievo Geppetto (Pietro Pignatelli), padre alla ricerca del figlio perfetto, che modella il burattino quasi per orgoglio e, di fronte alla sua disubbidienza, stenta ad accettarne l'individualità. Il figlio vuole diventare uomo, lui deve soffrire per diventare davvero padre: è il personaggio più dinamico della storia. Il prezzo, per tutto questo, è la «normalizzazione» del romanzo: se ne perde la straordinaria polivalenza. Viene meno la «magia» di Collodi, quella capacità di mantenere l'opera sul confine tra due diversi stati di realtà. Si è pure pensato di inserire un nuovo personaggio, Angela (Lena Biolcati), che alla fine sposerà Geppetto e darà una forma «regolare» alla convivenza con il burattino. Qualcuno proverà nostalgia, forse. Ciò che conta è che lo spettacolo riesce ad essere autonomo senza essere infedele, e coniuga la facilità di un approccio nazional-popolare con la qualità. Ad essa contribuiscono gli attori. Impossibile citare tutti. Il bello dello spettacolo è del resto la sua compattezza: le scene d'insieme e le coreografie di Fabrizio Angelini sono il suo punto forte. Non si può però non ricordare almeno Frattini, uno dei primi veri «attori da musical» italiani: è ovunque, ha una rara facilità di movimento, sa stabilire subito un rapporto con il pubblico.
Pier Giorgio Nosari