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CHIARA NOSCHESE: "NONSOLOATTRICE"

"figlia d’arte" con talento "in proprio"; interprete brillante, cantante, autrice, ha trovato nel musical la forma di teatro più adatta a valorizzare le sue qualità d’artista con una marcia in più:  la curiosità per tutto quello che è "altro"

Nosc2.jpg (31711 byte) Ogni sera Chiara Noschese raccoglie la sua messe di applausi e risate nel ruolo della scombinata miliardaria-mecenate americana Tina Cooper in Dance!, l’ultimo musical targato Compagnia della Rancia. Figlia d’arte (il padre era l’indimenticabile Alighiero), Chiara si è ritagliata nel corso degli anni un suo spazio autonomo e importante, sia come autrice che come attrice - ma anche cantante e ballerina - nel panorama del teatro musicale italiano.
L’abbiamo incontrata proprio durante le repliche milanesi di Dance! e la prima domanda che le rivolgiamo è inevitabile;
che cosa l’ha avvicinata al "meraviglioso" mondo del musical?
"Come base fondamentale diciamo che ho frequentato il Laboratorio di Gigi Proietti, che, a differenza di altre scuole italiane, offre una preparazione a trecentosessanta gradi, che comprende recitazione, canto e danza. Io ho sempre avuto una grande passione per il canto. Ho subito cominciato a lavorare, a fare "pratica", facendo cinema. Dopodiché è arrivata la grande occasione di lavorare con Pietro Garinei, un sogno che avevo sempre avuto, nella ripresa di uno dei più celebri musical della ditta G&G, "Alleluja brava gente". Il successo mi ha spinto a continuare. È arrivato un musical particolarissimo, "Il pianeta proibito" ispirato ad un "B-movie" di fantascienza e, dopo, il personaggio di Lina Lamont in "Cantando sotto la pioggia" con la Compagnia della Rancia; sono seguiti "Le notti di Cabiria", "Sette spose per sette fratelli " e, adesso "Dance!"".
A quali di questi titoli si sente più legata?
"Per una questione affettiva direi ad "Alleluja" e a Pietro Garinei, che per me è quasi un parente. Mi ha vista crescere in tutti i sensi ed è una persona straordinaria, il re assoluto del musical in Italia e il Sistina è la sua reggia. Ed ora a "Dance!", sul quale abbiamo lavorato tanto tempo e nel quale sono coinvolta anche come autrice".
Lo sente particolarmente suo?
"In un certo senso sì. Non sono l’attrice scritturata per recitare un copione già pronto, ma dò vita ad un testo che ho contribuito a scrivere. Il successo di questo musical è per me un vero regalo".
In Sette spose per sette fratelli si è trovata a sostituire la protagonista...
"Sì, si è trattato di una coincidenza. Tosca aveva un altro impegno quando il musical doveva essere ripreso e Saverio Marconi mi ha chiesto se me la sentivo di ricoprire il ruolo di Millie. L’idea mi divertiva molto e mi piaceva l’idea di lavorare ancora con Raffaele Paganini, con cui avevo già fatto "ditta" in "Cantando sotto la pioggia" e con il quale mi ritrovo oggi in "Dance!"".
La sua Millie si è ispirata in qualche modo a quella del celebre film, interpretata da Jane Powell?
"Io ho cercato di portare in palcoscenico, come sempre cerco di fare, una verità mia. Non mi piace ripetere cose già sentite, già viste e quindi questo musical è stato per me un’esperienza molto bella, soprattutto perché mi ha dato modo di esprimermi molto attraverso il canto. Millie canta quattro canzoni una dietro l’altra. Nei momenti di commozione ho cercato di "spingere" un po’ di più. Ho cercato di darne, insomma, una mia versione".
Tra i generi di spettacolo che ha frequentato, cinema, musical, prosa, televisione, quale preferisce?
"Teatralmente, il musical, proprio per la mia grande passione per il canto. Credo di avere una grande espressività quando canto, proprio perché mi piace talmente che non sto tanto a pensare alla giusta intonazione quanto piuttosto a quello che trasmetto. Mi piacciono quei cantanti che, quando cantano, sembra che recitino. Faccio un esempio "lirico", Raina Kabaivanska non è solo una grande cantante, è soprattutto un attrice; quando ho visto "Butterfly" con lei piangevo come una vite tagliata".
Tra i musical che sono "in voga" adesso, quale le piacerebbe interpretare?
""Chicago" di Bob Fosse. Ha delle musiche splendide, ho visto una cassetta dello spettacolo e me ne sono innamorata e ora penso che andrò a New York a vederlo".
In Chicago sono due le primedonne, chi vorrebbe al suo fianco?
"Non ne ho idea. Ce ne sarebbero tante che potrebbero farlo. Occorre veramente una cantante-attrice per quei ruoli"
E ballerina...
"Ecco, lì mi sento meno ferrata! "Ballicchio", anche se ho studiato molto anni danza. Io vorrei ballare! Ma non hanno fiducia nelle mie doti! A Raffaele Paganini faccio una testa così "Fatemi ballare!"".
Crede che suo padre sarebbe orgoglioso di lei oggi? E le è pesato, magari all’inizio, essere etichettata come la "figlia di... "?
"Alla prima domanda risponde che spero e credo di sì. Per quanto riguarda la seconda dico che non capisco quei figli d’arte che si lamentano del loro cognome. È un disprezzo nei confronti di chi ti ha donato la vita. Mio padre purtroppo è mancato che io ero ancora una bambina e non ha potuto aiutarmi "fisicamente", magari non l’avrei nemmeno voluto. È ovvio che la gente ti guarda con maggior attenzione quando porti un cognome importante, ma se sei un incapace, il palcoscenico non perdona. Non mi preoccupo di questa cosa, anche perché io faccio l’attrice e non l’imitatrice. Mi sento molto tranquilla anche perché con gli anni penso di avere acquisito una certa sicurezza. Io avuto solo l’aiuto del mio cognome, ma il resto me lo sono guadagnato da sola e ne vado molto fiera".
Tra la sua "professione" d’autrice e quella di protagonista della scena, quale "preferisce"?
"Quella di autrice ha per me il fascino della novità. Voglio continuare a scrivere e lo farò, anche se il mio sogno nel cassetto è quello di fare la regista, magari di un musical".
Lei si definirebbe attrice comica?
"Nasco come attrice comica. È un grande dono quello di saper far ridere la gente. Infatti il ruolo di Lina Lamont era in questo senso paradigmatico, ma credo che la Tina Cooper di "Dance!" abbia una marcia in più: è un personaggio che resta simpatico alla gente, una specie di tramite con il pubblico, di strampalato deus-ex-machina. Lina Lamont, per me, aveva un grande problema: doveva cantare una sola canzone "Temptation" e stonarla tutta, perché il personaggio non sa cantare. Ma io sì! Non c’è niente di peggio per chi sa cantare, che dovere stonare".
Ha un metodo particolare per trovare ispirazione nello scrivere o nell’interpretazione di un personaggio?
"Soprattutto sono una grande osservatrice. Mi piace aprirmi verso gli altri, ascoltare, ecco, soprattutto ascoltare. Fuori dalla scena non sono assolutamente una protagonista. La "curiosità" verso il mondo che ci circonda è importante. Il confronto con gli altri è fondamentale. Aprire gli occhi e stare a sentire. Io spesso faccio un giochino che consiglio anche a lei. Mentre magari sono al ristorante, mi metto ad osservare una coppia che sta cenando e comincio a ipotizzare. Chi sono? Marito e moglie, amanti, fratelli, amici? Hanno figli? Che carattere ha lei? Com’è vestita, come mangia, perché fa così? Anche con Saverio Marconi mi diverto a fare questo gioco. Infatti, quando capita di fare la scaletta di un nuovo spettacolo la prima tappa è questa: chi sono i personaggi, da dove vengono, chi era la loro mamma? Magari non ci servirà, ma è come costruire una piramide. Non esistono personaggi, anche inventati, senza passato. Senza contesto non c’è evento".
Esce di lei il ritratto di un’artista a tutto tondo, d’altri tempi, si direbbe...
"... o forse del futuro! Quello che direi ai giovani è che occorre ricordare che dietro di loro ce ne sono almeno quaranta altrettanto bravi se non di più. Quindi sveglia! Bisogna stare svegli e pronti. Attori bravi ce ne sono in giro".
Tra i partner con cui ha lavorato chi trova più consono al suo carattere?
"Sicuramente Raffaele Paganini. È un amico ed è una persona alla quale voglio bene. E se voglio bene a qualcuno ha la mia fedeltà per sempre".
Parlando con lei ho l’impressione che un ruolo potrebbe calzarle a pennello, non oggi naturalmente perché è troppo giovane, quello di Norma Desmond in Sunset Boulevard...
"Non me ne parli! Lo dico sempre a Saverio "Mi aspetti, che invecchio un po’ e poi lo facciamo?". Ma sarei anche disposta ad invecchiarmi "artificialmente". Del resto se non giochiamo noi attori su questo! Dopotutto recitare, in inglese è "to play", giocare, e anche in francese è "jouer"".
Un grande gioco, quindi, il teatro?
"... senza dimenticare, comunque che la vita, la vita vera, si svolge al di fuori del teatro. È importante poi averla, una "vita", avere i propri affetti. Mi fanno cadere le braccia quegli attori che dicono, e ne ho conosciuti, "la mia vita è il palcoscenico" e poi non sanno nemmeno se è scoppiata una guerra a due passi da casa nostra. Questo è un mestiere aleatorio, che non ti restituisce mai sino in fondo quello che dai, e occorre viverlo con leggerezza, giorno giorno per giorno. Quindi Chiara Noschese attrice sì, ma "nonsoloattrice"".

Scritto proprio così, senza stacchi.

Giorgio Banti